Se una persona sta bene e le vitamine fanno bene alla salute, assumerne quantità maggiori può aiutare ulteriormente l’organismo? Secondo un articolo del Dott. Paolo Spriano pubblicato su Univadis, stando ai dati di vendita di integratori, vitamine e sali minerali, la risposta parrebbe essere affermativa. Anche nell’era del Covid, con un mercato che, nel solo 2021, in Italia «ha registrato un volume d’affari di oltre 2 miliardi di euro e negli Stati Uniti ha raggiunto i 30 miliardi di dollari».
In uno scenario come quello appena presentato sorge, però, spontanea una domanda: ma questi prodotti migliorano davvero lo stato di salute di chi li assume?
Gli studi
In questo scenario, l’organizzazione statunitense Kaiser Permanente diete vita a una revisione della letteratura relativa alle evidenze ad oggi disponibili sulla supplementazione con vitamine e sali minerali nelle persone sane. Sulla base di ciò, possiamo affermare che i prodotti di cui al paragrafo precedente non migliorano davvero lo stato di salute di chi li assume. O, almeno, non quanto si pensi.
Per questa ragione, lo US Preventive Services Task Force (USPSTF) ha formulato nuove raccomandazioni per le persone sane disposte ad assumere composti multivitaminici a scopo preventivo. «Un documento che pone all’attenzione dei medici come, a volte, quello che ci si aspetta dalle vitamine non è sempre ciò che realmente avviene».
Vitamina E
Secondo recenti studi, le popolazioni occidentali – di norma consumatrici di vitamina E in dosi adeguate – non avrebbero problemi ad acquistare composti multivitaminici e supplementi che possono incrementare l’apporto giornaliero anche della vitamina E. Una pratica che, così facendo, porterebbe i livelli di sostanza assunti da 30 a 1000 unità.
Non si tratta di un caso. In passato alcune ricerche suggerivano che l’assunzione di vitamina E potesse stimolare il sistema immunitario e prevenire le malattie cardiovascolari e alcuni tipi di neoplasia. Studi recenti, però, hanno smentito tale ipotesi. Anzi. Hanno certificato che un eccessivo apporto dietetico di questa vitamina (con dosi superiori alle 1500 unità giornaliere) possa, invece, aumentare il rischio di sanguinamento e di mortalità.
Beta-carotene
Esattamente come con la vitamina E, anche l’eccessiva assunzione di beta-carotene può, a lungo andare, creare nell’organismo più problemi che benefici. Già negli anni Ottanta alcuni studi osservazionali suggerirono l’idea che il beta-carotene potesse avere proprietà chemiopreventive. Ciò spinse gli esperti di prevenzione oncologica a realizzare due grandi trial randomizzati. Essi avevano la finalità di testare l’effetto sul cancro del polmone in soggetti fumatori negli Stati Uniti. Inaspettatamente, però, all’inizio degli anni Novanta la situazione mutò.
Nell’ultimo decennio del secolo scorso, infatti, i trial vennero interrotti perché – all’interno del gruppo d’intervento con beta-carotene – evidenziò un importante aumento (28%, ndr) del rischio di sviluppare un cancro del polmone. Ma non solo: aumentò anche la conseguente mortalità per tutte le cause rispetto ai controlli (17%, ndr). «Una delle spiegazioni trovate a riguardo fu che l’impiego di dosi elevate di beta-carotene fosse tale da determinare una concentrazione soprafisiologica». In sostanza, l’eccesso di beta-carotene assunto neannullava gli effetti protettivi.
A sei anni dalla sospensione del beta-carotene, i dati di follow up del trial CARET hanno evidenziato come l’incidenza di tumori del polmone e di morti per tutte le cause diminuisse. Senza, però, mai scomparire. L’eccesso di rischio per tumore del polmone, invece, sembrava rimanere persistente nelle donne e nei vecchi fumatori.
Tutto ciò fu sufficiente per affermare che sia sì ammissibile somministrare un agente chemiopreventivo (non importa se è solo una vitamina) ad una popolazione sana. Questo, però, solo dopo aver documentato sicurezza, efficacia e durata degli effetti positivi (o avversi), «specialmente quando i meccanismi molecolari e genetici non sono chiari».