GESTIONE DELLE MASSE OVARICHE

Gestione delle “MASSE OVARICHE”

K.Noci – F.Zanaboni

INTRODUZIONE

Nel triennio ’96-’97-‘98 i ricoveri per patologia benigna dell’ovaio negli ospedali lombardi sono stati l’8.6% dei ricoveri per patologia ginecologica benigna. Di questi il 71.2% sono stati ricoveri chirurgici. L’endometriosi nelle sue varie forme e localizzazioni ha inciso per il 2.9%, con l’86.9% di ricoveri chirurgici.

I ricoveri per tumori dell’ovaio sono stati il 44.3% dei ricoveri per patologia ginecologica maligna, di cui il 25.1% sono stati ricoveri chirurgici.

La strategia terapeutica delle masse ovariche deve tener conto di 2 aspetti:

  • la regola classica che suggerisce di sospettare un cancro in ogni cisti annessiale fino a prova istologica contraria.
  • il fatto che queste lesioni siano più spesso benigne e/o funzionali.

Sulla base di questi presupposti, l’Ecografia e la Laparoscopia hanno sensibilmente modificato il modo di affrontare e gestire le “masse ovaro-pelviche”, tanto più se si pensa che le cisti funzionali rappresentino il 30-50% delle tumefazioni ovariche in pazienti asintomatiche, sia in età fertile che in postmenopausa. L’alta possibilità di una loro risoluzione spontanea obbliga quindi ad un’accurata valutazione della reale necessità di gesti troppo radicali e traumatizzanti.

Sembra inoltre utile, nell’approccio alle masse ovariche, ricordare le patologie pelviche da porre in diagnosi differenziale:

Mioma uterino – Sierocele – Gravidanza Ectopica – Cisti paratubarica – Idro-Sacto Salpinge – Cancro del corpo uterino – Flemmone da rottura appendicolare – Rene Pelvico – Globo vescicale.

Epidemiologia.

Nel triennio 96-98 in Lombardia sono stati effettuati:

  • 011 Ricoveri per patologia ovarica benigna (Tumori benigni dell’ovaio, Disturbi non infiammatori dell’ovaio, della tuba e del legamento largo, Cisti follicolari, Corpo luteo emorragico, Torsione ovarica) per un totale di 16.200 casi e 12.690 interventi di cui 5.175 laparoscopici.
  • 275 ricoveri per Malattie infiammatorie dell’ovaio, delle tube e del cellulare pelvico (PID, Ovarosalpingiti), per un totale di 9.798 casi e 4.208 interventi di cui 1.749 laparoscopici.
  • 023 Ricoveri per endometriosi ovarica e pelvica, per un totale di 5.602 casi e 5.086 interventi di cui 3.039 laparoscopici.
  • 890 Ricoveri per patologia ovarica maligna, per un totale di 7.457 casi e 4.375 interventi di cui 732 laparoscopici.  

 DIAGNOSI PREOPERATORIA

Se è vero che la diagnosi intra operatoria e l’esame istologico rimangono insostituibili per porre diagnosi certa di endometriosi e per distinguere la patologia annessiale benigna da quella maligna, è anche vero che il trattamento ideale delle masse ovariche derivi da una diagnosi preoperatoria il più possibile accurata. Questa deve esprimere il risultato della somma di nozioni ginecologiche, ecografiche, fisiologiche, oncologiche e chirurgiche.

  • Esame clinico

L’età della paziente assume importanza significativa anche ai fini della valutazione dei referti strumentali e degli esiti dei marcatori biochimici. Il rapporto tra tumori epiteliali maligni e benigni passa dal 4% nell’età compresa tra i 20 e 30 anni, al 50% nell’età compresa tra i 60 e 70 anni.  I tumori borderline, senza essere correlati con l’età, restano compresi tra il 4-10%.

L’anamnesi consente di rilevare i tempi d’insorgenza di eventuali sintomi e la loro gravità (dispareunia, dolore pelvico cronico, dolore addominale, dismenorrea).

La palpazione e la percussione dell’addome e la visita ginecologica (laddove indicata bidigitale), consentono di valutare le dimensioni, la sede (monolaterale o bilaterale), la consistenza, l’eventuale irregolarità di superficie, la fissità o meno alle strutture circostanti, la presenza di nodularità nel cavo del Douglas, la presenza di ascite, il dolore eventualmente evocato.

  • Ecografia transvaginale ed addominale

Masse pelviche di volume superiore ai 10cm e/o localizzate cranialmente alla cupola vescicale esigono anche indagine con sonda transaddominale, laddove masse inferiori ai 10cm e localizzate nel Douglas prediligono l’indagine con sonda transvaginale. Nelle donne in età fertile è inoltre sempre consigliabile eseguire l’esame nella fase postmestruale al fine di escludere la presenza di cisti funzionali.

L’esame ecografico morfologico consente di valutare con precisione:

  • dimensione della massa
  • ecogenicità
  • margini
  • presenza di vegetazioni endo o esocistiche
  • presenza di setti e loro spessore
  • presenza di liquido libero peritoneale o ascite
  • presenza di masse addominali accessorie

I criteri di sospetto per una diagnosi differenziale con patologia maligna o borderline sono generalmente i seguenti:

  • presenza di aree solide
  • presenza di margini irregolari o ispessiti
  • presenza di vegetazioni (soprattutto > 3 mm)
  • presenza di setti con spessore > 3 mm
  • aspetto pluricistico dell’ovaio
  • presenza di ascite

Si ricorda come in menopausa il volume della cisti possa correlarsi al rischio di cancro in modo direttamente proporzionale. Se <5cm si può associare a neoplasia ovarica nel 3% dei casi, mentre tra 5 e 10cm o >10cm il rischio sale all’11% ed al 60% rispettivamente.

Alcuni gruppi di lavoro hanno elaborato punteggi simili tra loro per ottimizzare e standardizzare i risultati dell’indagine ecografica. Questi raggiungono una sensibilità intorno al 90%, una specificità del 50%, un valore predittivo positivo del 30% e negativo del 93% con un’accuratezza del 70%. (v. Tab.1).

 Tab.1 Score ecografico morfologico per le masse ovariche

Studio Multicentrico Lombardo 1997 (ISBM San Paolo e San Gerardo – Università di Milano, Università di Brescia)

 

Sc.

Struttura e Spessore Parete

 Setti

Vegetazioni

Ecogenicità

1

< 3mm

nessuno

nessuna

anecogena***

2

> 3mm

< 3mm

ipoecogena

3

> 3mm

4

irregolare, prevalentemente solida*

< 3mm

 aree ecogeniche

5

irregolare,  non valutabile**

> 3mm

aree ecogeniche eterogenee, solide

*struttura parete irregolare, spessore >3mm, capsula identificabile

** capsula non differenziabile dalla struttura circostante e dall’ecogenicità interna

*** o con fini trabecolature e contenuto ipoecogeno gelatinoso tipico del corpo luteo emorragico

 I criteri alla base di questo score morfologico sono i seguenti:

  1. una linea guida per la descrizione sistematica delle lesioni da parte dell’ecografista.
  2. un punteggio che permettesse di considerare gli aspetti macroscopici delle neoformazioni in relazione alla loro potenziale malignità.
  3. l’assegnazione del punteggio minimo alle cisti a contenuto trabecolare e gelatinoso (tipico del corpo luteo emorragico).
  4. un sistema diagnostico che potesse risolvere il problema correlato con gli elevati punteggi ottenuti dai teratomi benigni spesso osservati in giovani donne e che non sono mai ad alto rischio di malignità. (con questo sistema di valutazione i teratomi vengono correlati al punteggio più basso possibile).

In base ai dati di questa ricerca multicentrica, la negatività per CA corrisponde ad uno score <8 con sensibilità del 93% e specificità del 56%.

Si sottolinea che la valutazione innovativa dei parametri ecografici di questo studio si distingue dalle precedenti per l’assegnazione del punteggio minimo sia ai teratomi che ai corpi lutei emorragici.

  • Eco color Doppler

 Numerosi studi hanno ipotizzato che l’ecografia color-Doppler, in associazione all’ecografia morfologica ed ai metodi tradizionali di indagine, possa migliorare la sensibilità e la specificità nella distinzione tra masse ovariche benigne e maligne. Tale metodica valuta il flusso arterioso all’interno della tumefazione, espresso in termini di indice di resistenza (RI), indice di pulsatilità (PI), picco di velocità sistolica e tempo medio di velocità massima; i vasi con resistenza e pulsatilità bassa dovrebbero essere correlati ad alto rischio di patologia tumorale.

In realtà, questa tecnica è gravata da difficoltà di standardizzazione degli strumenti, dei cut off selezionati, e da una bassa riproducibilità. Pertanto non ha finora dimostrato una superiorità significativa rispetto ai dati ottenuti con l’ecografia morfologica tradizionale. La sua sensibilità e specificità si attestano intorno al 78%, con valore predittivo positivo basso in premenopausa (massimo il 50%), dovuto al fatto che i miomi e le cisti mucinose mostrano spesso indici di bassa resistenza.

L’ecografia color-Doppler trova una più corretta indicazione nei casi in cui ci sia discordanza tra valori di CA125 e referto ecografico morfologico; il suo utilizzo può consentire allora un’accuratezza diagnostica dell’88%.

Occorre però sottolineare come l’utilizzo di questa metodica richieda un’elevata esperienza ed una specifica preparazione da parte dell’operatore, tale da renderla ancora oggi poco riproducibile e diffusa.

4) Dosaggio serico di marcatori tumorali

 CA125

E’ indicato solo nelle donne in postmenopausa, nelle pazienti con sospetto ecografico e clinico di endometrioma o nei casi sospetti di patologia maligna. I limiti di questo parametro sono dati dall’elevato numero di falsi positivi in età fertile (se il cut off utilizzato è di 35 UI), e dal tasso di falsi negativi che può raggiungere il 50% in caso di neoplasie allo stadio iniziale o borderline.

Va ricordato che tumori extra ovarici e patologie come l’infiammazione pelvica, l’endometriosi e la cirrosi epatica, oltre a condizioni fisiologiche come la gravidanza nel 1° e 2° trimestre e la mestruazione, possono alterare i valori del CA125.

Nel caso di valori positivi si sottolinea pertanto la necessità di una valutazione sequenziale con ripetizione del dosaggio per la conferma del dato.

 CA 19.9

E’ indicato nei casi di cisti pluriconcamerate e sospette di malignità o in presenza di ascite. Risulta elevato nel 70-80% dei tumori mucinosi.

 CEA

E’ un marcatore aspecifico, che non è indicato, salvo nei casi con ascite e massa pelvica di non definibile origine (annessiale vs intestinale)

 CA 15.3

E’ indicato nei casi con cisti o masse ovariche e patologia mammaria in anamnesi (per escludere tumore di Krukemberg)

 alfa FP

E’ indicato nei casi di masse ovariche solide o miste, insorte in giovane età ed in breve tempo (risulta elevata nei disgerminomi e nei teratomi maligni).

Nei casi in cui la cisti ovarica risulti benigna in base alla valutazione clinica, ecografica ed eventualmente biochimica, è razionale proporre un periodo di osservazione di 3 mesi se sono presenti i seguenti elementi:

  • dimensioni <5 cm in menopausa, <8cm in età fertile
  • assenza di sintomatologia dolorosa

L’approccio chirurgico va proposto solo nei casi di persistenza superiore ai 3 mesi.

Va ricordato come non esistano dati, supportati da adeguata letteratura, circa l’effetto favorevole del trattamento medico ovarostatico (Estro Progestinici) sull’evoluzione delle formazioni ovariche benigne.

Nei casi di malignità certa o sospetta, è necessario intervenire al più presto, personalizzando l’approccio in base all’età della paziente ed al suo desiderio di prole.

In tutti i casi si raccomanda una corretta informazione della paziente finalizzata anche ad ottenere un consenso informato sulle procedure chirurgiche previste in relazione alle loro possibili sequele invalidanti (infertilità, menopausa precoce, colostomia etc)

DIAGNOSI INTRAOPERATORIA

 LAPAROSCOPIA

Con la Laparoscopia, il ginecologo ha a disposizione lo strumento per aggiungere, da una parte, importanti elementi diagnostici a quelli già acquisiti con la clinica, il laboratorio e la scansione ecografica addominale e vaginale, e dall’altra, lo strumento per effettuare il trattamento delle forme non maligne di patologia ovarica. Infatti la valutazione laparoscopica diagnostica assume fondamentale importanza nel riconoscimento di eventuali segni di malignità non identificabili in fase preoperatoria allo scopo elettivo di completare la selezione dei casi neoplastici da riservare al trattamento laparotomico. In questo modo si aumentata la possibilità di pervenire alla scelta terapeutica chirurgica ottimale. Nell’iter diagnostico di ogni intervento laparoscopico vanno quindi completati alcuni tempi obbligati che comprendono l’ispezione dell’addome, della pelvi e dei genitali interni, e laddove necessario per il prosieguo dell’intervento, il ripristino del normale stato anatomico addomino-pelvico (adesiolisi).

Nel caso di patologia annessiale, con l’ispezione dell’ovaio cistico, si cercherà di confermare l’origine ovarica della neoformazione e di distinguerla, per esempio, dall’idro-sactosalpinge, dalle pseudocisti (sieroceli) e dalle idatidi del Morgagni.

Se è presente liquido libero si dovrà sempre eseguirne l’aspirazione per effettuare l’esame citologico; alternativamente sarà utile eseguire un lavaggio del Douglas con soluzione fisiologica e aspirarlo per il medesimo scopo.

Seguirà la mobilizzazione dell’ovaio cistico sul legamento utero-ovarico (spesso dopo adesiolisi) e la valutazione delle dimensioni, della vascolarizzazione, e della superficie esterna della cisti per escludere vegetazioni esocistiche (quelle eventualmente intracistiche dovrebbero essere già state valutate ecograficamente). Nell’ambito delle tumefazioni benigne esistono dei criteri semeiologici che possono aiutare a distinguere le cisti organiche da quelle funzionali (v.Tab.2)

Tab.2 Semeiologia Laparoscopica

 

ORGANICHE

FUNZIONALI

Legamento Utero – Ovarico

Allungato

Normale

Parete della Cisti

Spessa

Sottile

Vascolarizzazione

“a pettine” dal mesovario – scarsa

Coralliforme – Abbondante

Contenuto liquido

Sieroso-Mucinoso-Ematico-Sebaceo

Citrino o Ematico

Parete interna

Liscia o  Vegetante

Retinoide

Successivamente andrà effettuata la valutazione dell’ovaio controlaterale, del peritoneo pelvico, delle docce parietocoliche, della cupola diaframmatica, del fegato e dell’omento.

Se al termine di questa ispezione venissero identificati segni di malignità extraovarica (ascite, metastasi peritoneali od omentali) od ovarica (vegetazioni superficiali, vascolarizzazione atipica, friabilità della parete) si convertirà l’intervento in laparotomico. Solo diversamente, ovvero la cisti non presentasse segni di malignità sospetta, si potrà procedere al tempo successivo (Puntura della cisti).                                                                                                          

Questo secondo tempo diagnostico rappresenterà anche il primo passo terapeutico. L’ovaio andrà immobilizzato con 2 pinze da presa, poste una sul legamento utero ovarico, e l’altra sotto l’ovaio stesso. L’ago per l’aspirazione va introdotto nell’addome sulla verticale della cisti. L’aspirazione dovrà essere attivata prima della puntura cistica onde evitare o quantomeno limitare al minimo gli spargimenti di liquido. Nel caso di cisti voluminose, l’aspirazione può essere conseguita direttamente attraverso il trocar sovrapubico posizionato controlateralmente alla cisti. La puntura della stessa dovrebbe consentire di valutare le caratteristiche del liquido (v.tab.3), e di campionarne il prelievo per l’esame citologico. Riducendo il volume della cisti se ne renderà inoltre più agevole l’enucleazione. Talvolta potrà risultare utile introdurre l’ottica all’interno della cisti per valutarne l’aspetto interno ed osservare le caratteristiche di eventuali vegetazioni o escrescenze papillari che peraltro dovrebbero già essere state segnalate dall’esame ecografico.

Tab.3 Valore diagnostico dell’esame macroscopico: correlazione tra aspetto del liquido cistico e istologia. Bruhat, Mage et Al. 1989

 

ISTOLOGIA

della CISTI

Numero

Casi

Liquido Chiaro

Liquido Giallo

Liquido Siero Emorragico

Liquido Chiaro

ma Vischioso

Liquido Grasso

Liquido Cioccolato

 

 

 

 

 

 

 

 

Funzionale

77

11

42

22

1

1

Endometriosi

70

1

6

63

Sierosa

70

21

37

10

1

1

Mucinosa

40

4

10

1

23

1

Teratoma

63

1

1

61

Borderline

1

1

Cancro

1

1

Para-Ovarica

47

37

6

3

1

La rottura della capsula cistica con spandimento (“spillage”) del contenuto liquido in cavità peritoneale è una procedura affrontabile anche nel caso in cui la diagnosi intraoperatoria sia successivamente di neoplasia ovarica, borderline o invasiva. L’effetto prognostico sfavorevole di tale evento non è stato finora dimostrato né nei casi di tumore a basso potenziale di malignità né nei casi di carcinoma; in questi ultimi, il suo impatto negativo si manifesta solo se associato ad una non corretta terapia chirurgica, che deve essere ovviamente laparotomica. Da qui l’importanza di poter disporre di un esame istologico estemporaneo intraoperatorio nei casi sospetti.

La puntura della neoformazione può essere evitata, o dovrebbe essere evitata, rispettivamente in caso di cisti paratubarica e di cisti dermoide. Talvolta si può evitare la puntura della cisti in caso di endometriosi a carico di ovaio non fissato da aderenze, in quanto può risultare più agevole l’identificazione del piano di clivaggio per l’enucleazione cistica. Nel caso del dermoide viene limitato il rischio di peritonite granulomatosa e di aderenze postchirurgiche da spandimento di materiale sebaceo.

Esaurite queste procedure diagnostiche, la massa cistico diventa presunta sospetta, presunta  benigna e  presunta funzionale, anche se l’accuratezza diagnostica della LPS è del 96% circa, con un valore predittivo negativo del 100%.             

Si tratta quindi di una metodica affidabile, che si raccomanda quale primo approccio per tutte le tumefazioni annessiali con caratteristiche preoperatorie di benignità che vengano confermate all’osservazione laparoscopica preliminare.

 ESAME ISTOLOGICO ESTEMPORANEO

 Dirimente nei casi sospetti è l’esecuzione di un esame istologico estemporaneo, che consente di definire la presenza o meno di cellule tumorali. E’ noto il limite intrinseco alla metodica per quanto riguarda la distinzione tra carcinomi invasivi e tumori borderline, ma in ogni caso essa è in grado di escludere la presenza di un tumore nel 94% dei casi.

La diagnosi intraoperatoria consente di convertire il tempo chirurgico laparoscopico in laparotomico nei casi indicati, e di eseguire una corretta stadiazione delle neoplasie.

La diatriba tuttora in corso, infatti, sul potenziale effetto prognostico negativo dell’intervento laparoscopico, o meglio dello spilling intraoperatorio, ha un bias importante alla base. I dati finora disponibili in letteratura sembrano indicare che lo stadio IC per rottura intraoperatoria per sé non rappresenta un fattore prognostico negativo (indipendentemente dal tipo di approccio chirurgico adottato) sia per quanto riguarda le neoplasie borderline sia per le invasive. Il ritardo diagnostico (postoperatorio) e la spesso conseguente stadiazione inadeguata giocano invece un ruolo importante. Da qui la necessità di poter essere tempestivi nell’esecuzione dei trattamenti chirurgici adeguati, che l’esame al congelatore consente con buona attendibilità.

 TRATTAMENTO

LAPAROSCOPIA OPERATIVA

Trova indicazione nella terapia delle cisti ovariche o paratubariche con caratteristiche preoperatorie ed intraoperatorie di benignità. La scelta del tipo di intervento da eseguirsi sull’ovaio, conservativo ovvero demolitivo, dipende poi dall’età della paziente. La letteratura sembra infatti concorde nel suggerire di eseguire l’annessiectomia bilaterale con esame estemporaneo nel caso di intervento per cisti ovarica in paziente menopausale.

E’ contemplabile una chirurgia laparoscopica con intento il più possibile conservativo (enucleazione della cisti o annessiectomia monolaterale) nei casi di tumore borderline diagnosticati in pazienti in età fertile desiderose di prole. Il tempo chirurgico laparoscopico deve comunque comprendere una stadiazione della neoplasia mediante washing peritoneale, biopsie omentali, biopsie del Douglas e delle docce parietocoliche.

Le modalità laparoscopiche per la terapia delle neoformazioni ovariche comprendono l’enucleazione intraperitoneale della parete cistica dopo aspirazione del suo contenuto, l’enucleazione della cisti integra e l’annessiectomia.

L’enucleazione intraperitoneale della parete cistica dopo aspirazione del suo contenuto è la tecnica più usata nel caso di formazioni organiche benigne.

L’ovaio, se fissato alla pelvi da aderenze, andrà mobilizzato per ripristinare una normale situazione anatomica e per proteggere l’uretere da possibili lesioni. Spesso queste manovre, nel caso di endometriosi, provocano la rottura della cisti con fuoriuscita del suo contenuto.

Svuotata comunque la cisti, e ricercato il piano di clivaggio ovaro – cistico, si procede, con l’utilizzo di 2 pinze da presa contrapposte, nella manovra di scollamento della capsula cistica dal parenchima ovarico. Il sanguinamento è raro se non in caso di endometriosi o di errato piano di clivaggio. L’emostasi risulterà più agevole da controllare durante le fasi di enucleazione piuttosto che alla fine della procedura, e per evidenziare l’emorragia di piccoli vasi, si consiglia ad intervalli regolari di ridurre le tensioni di trazione e di controtrazione. 

Completata l’asportazione della capsula, i margini della breccia ovarica andranno coagulati per garantire un’emostasi ottimale e per favorire la retrazione dei bordi cruentati verso un naturale processo di cicatrizzazione.

La capsula cistica andrà rimossa attraverso un apposito sacchetto endoscopico, e l’intervento si concluderà con un ulteriore controllo dell’emostasi e con il lavaggio della cavità addominale.

L’enucleazione della cisti integra è consigliabile nel caso di cisti dermoide e di cisti paratubarica.

Per la prima è ovvia l’importanza di evitare la disseminazione del suo contenuto a causa del rischio di peritonite chimica e del rischio elevato (fino al 30%) di indurre la formazione di gravi aderenze peritoneali. L’asportazione della cisti dalla cavità attraverso l’uso di un sacchetto endoscopico, eviterà altresì contaminazioni della parete addominale e rischio di flogosi purulenta del tragitto.  Nell’eventualità della rottura della cisti, il lavaggio e l’aspirazione della cavità addominale richiederà la meticolosità più accurata possibile. 

Nel caso della cisti paratubarica, spesso ricoperta unicamente dal peritoneo, l’identificazione del piano di clivaggio e la conseguente enucleazione risultano più agevoli mantenendo integra la cisti. 

L’annessiectomia fu eseguita per la prima volta nel 1973 da Semm. Rispetto all’ovariectomia permette di garantire l’asportazione completa del tessuto ovarico. Una volta evidenziato l’uretere ed il suo decorso, si procede con l’emostasi bipolare e la sezione del legamento infundibolo pelvico, del mesovario e del legamento utero-ovarico. L’emostasi, preferibilmente eseguita con pinza bipolare, può essere altrettanto efficacemente raggiunta con l’uso di lacci endoscopici, di suturatrici endoscopiche, di classiche suture eseguite laparoscopicamente, o con l’uso misto di queste tecniche. Il pezzo chirurgico va estratto possibilmente con sacchetto endoscopico. 

 LAPAROTOMIA

 Nei casi preoperatoriamente sospetti o dopo un approccio laparoscopico che abbia dimostrato sospetto o certezza di malignità, l’accesso alla cavità peritoneale deve essere laparotomico, con un’incisione almeno ombelico-pubica, ma meglio se xifo-pubica. Ciò consente una perfetta esplorazione degli organi addominali e l’esecuzione di alcuni tempi chirurgici raccomandabili.

Va ricordato che ci sono state recenti segnalazioni in letteratura circa un possibile aumentato rischio di disseminazione tumorale legato all’insufflazione di CO2 ed all’inserzione dei trocar.

Per meglio guidare il percorso chirurgico si procede per tipo di patologia.

 Tumori borderline

In caso di diagnosi estemporanea di tumore a basso potenziale di malignità è raccomandabile eseguire:

  • washing peritoneale e/o aspirazione di free-fluid o ascite
  • annessiectomia (mono o bilaterale, in base ad età della paziente ed alla localizzazione tumorale) o cistectomia (consigliabile solo in pazienti fertili desiderose di prole, e se effettuabile; tale procedura non ha impatto prognostico sulla sopravvivenza, ma è connessa con rischio aumentato di recidive omolaterali del 10-15%).
  • isterectomia totale (evitabile in pazienti che desiderano conservare la fertilità)
  • omentectomia
  • biopsia di tutte le lesioni sospette e random delle docce parietocoliche, della plica vescicouterina e del Douglas
  • appendicectomia (fondamentale nei tumori mucinosi)

La linfoadenectomia pelvica e lomboaortica è da riservare ai casi dubbi per malignità invasiva, soprattutto se localizzati ai soli annessi. E’ dimostrato infatti che tale procedura non sembra avere impatto prognostico nel tumore borderline, mentre è dirimente per una corretta stadiazione del carcinoma invasivo.

Carcinomi ovarici allo stadio iniziale

In caso di diagnosi intraoperatoria di carcinoma macroscopicamente confinato ad un ovaio, è opportuno eseguire una stadiazione il più possibile accurata, mediante:

  • washing peritoneale (e aspirazione eventuale ascite o free-fluid)
  • annessiectomia bilaterale
  • isterectomia totale
  • omentectomia totale infracolica
  • biopsia di eventuali lesioni sospette e random di docce parietocoliche, diaframma, Douglas, plica vescicouterina, mesentere, sierosa dell’intestino tenue
  • linfoadenectomia pelvica (iliaca) e lomboaortica (almeno omolaterale alla neoplasia).

La cosiddetta “chirurgia conservativa” (che risparmi l’altro annesso e l’utero) può essere presa in considerazione solo nei casi molto selezionati di donne giovani, desiderose di prole, o affette da neoplasia localizzata e ben differenziata (G1).

Tale trattamento rappresenta quindi, a volte, solo un primo approccio, in attesa di un esame istologico definitivo. Per questo motivo, è raccomandabile che sempre, in caso di tale procedura, venga effettuata una corretta stadiazione addominale e retroperitoneale in prima battuta.

Carcinomi ovarici allo stadio avanzato

Nel caso di una neoplasia francamente invasiva e metastatica è raccomandabile eseguire un tentativo di “citoriduzione” (debulking), consistente in tutte le manovre chirurgiche atte a ridurre la massa tumorale residua, se possibile al di sotto di 1 cm (considerato per lesioni singole). Tali manovre esulano a volte dalle procedure routinarie della chirurgia ginecologica (isterectomia totale, annessiectomia bilaterale, omentectomia) e possono richiedere l’ausilio di chirurghi generali, nel caso non si conosca la tecnica adeguata. E’ stato dimostrato infatti dalla letteratura che la sopravvivenza delle pazienti è influenzata in modo statisticamente significativo e direttamente proporzionale all’esperienza oncologica del chirurgo che esegue l’intervento (ginecologo oncologo > ginecologo generale > chirurgo generale).

L’aggressività della prima chirurgia (tralasciando la diatriba filosofica su aggredibilità insita nel tumore vs. capacità insita nell’operatore) è un fattore prognostico indipendente ed incontrovertibile in tutta la letteratura sull’argomento.

E’ auspicabile quindi che il ginecologo che si appresti ad affrontare i casi sospetti tenga presente tale informazione.

Non è noto invece ancora il ruolo della linfoadenectomia “profilattica” nei casi avanzati. Tale procedura va quindi inserita nell’intervento di debulking in corso, e non rappresenta un passo obbligato della stadiazione.